Sul patrimonio di conoscenze popolari. Riflessioni epistemologiche (seconda parte)

(Articolo pubblicato in Dialoghi Mediterranei n. 32; ISSN 2384-9010)

Un primo passo per andare oltre

Il titolo di questo paragrafo non è causale. Partendo dal lavoro curato da Fabio Dei e da Caterina Di Pasquale, voglio porre qui alcune questioni per riflettere sul futuro utilizzo dei materiali folklorici. Credo, in modo un po’ provocatorio, che l’opera Rievocare il passato: memoria culturale e identità territoriali rappresenti un primo passo verso l’urgenza epistemologica di salvare un filone di ricerca che sta scomparendo assieme a importanti materiali di studio. Penso insomma che la Storia delle Tradizioni Popolari debba uscire dal ristagno dell’ottica romantica e – sulle orme di Clifford Geertz e della rivoluzione epistemologica apportata dall’antropologia interpretativa – ci si organizzi per pensare ad un’attuale metodologia di ricerca per lo studio del folklore. Il grave problema degli antropologi di oggi sta probabilmente nel giudicare i materiali folklorici come oggetti di studio ormai desueti e quindi privi di consistenza scientifica.

Rievocare il passato: memoria culturale e identità territoriali è un lavoro da cui partire per vari motivi. In primo luogo esso pone il problema del recupero, in chiave contemporanea, di una parte considerevole della tradizione demologica; in secondo luogo, seguendo la tesi di Antonio Fanelli (2015), ripercorre, dopo l’avvento della cultura di massa negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, la complessa relazione tra vecchi elementi folklorici e nuovi simboli popolari.

I giochi, i costumi, le cerimonie, le immagini, vengono collocati, nel lavoro curato da Dei e da Di Pasquale, nel presente ed utilizzati come filtro per comprendere il punto di vista degli osservatori e di chi partecipa in prima persona all’evento. L’importanza del lavoro sta quindi nello stimolare una ridefinizione dell’oggetto demologico che si confronta da un lato con il tramonto di un’epoca che corrispondeva a specifiche concezioni del mondo e dall’altro con l’insorgere di ibridazioni tra secolari tradizioni popolari, nuove esigenze di aggregazione sociale date dall’abbandono dei modelli familiari contadini e dal diffondersi del modello coabitativo urbano mononucleare, oltre che da necessità di utilizzo del tempo libero offerte dalle moderne condizioni di lavoro.

Rievocare il passato: memoria culturale e identità territoriali si colloca sul crinale della doppia relazione di appartenenza in cui si è giocato il distacco tra demologia e rievocazione. Lo studio di Dei e di Di Pasquale pone una questione rilevante che non solo deve essere portata avanti, ma che deve essere tenuta presente per avviare i passi successivi in questo filone di ricerca. Con la crisi del paradigma folklorico, la demologia guarda ora con attenzione e interesse alle forme di nuove creazioni culturali, di cui tenta di comprendere i significati e i confini dell’aggettivo “popolare”. Questo importante lavoro stimola una attenzione e una  riflessione sul modo di leggere i contenuti dei repertori; essi – affermano gli studiosi – non devono fermarsi alla sola considerazione filologica, ma devono sollecitare la comprensione della loro portata sociale; avvertono inoltre che le pratiche di riproposta della storia o della tradizione non debbono essere inquadrate come attività di carattere regressivo e come semplicistica spettacolarizzazione del passato – azione che, come sostiene Daniele Parbuono e che personalmente condivido – andrebbe comunque interpretata come forma di nuova creazione.

Il libro curato dai due antropologi offre, tra gli altri, uno spunto per ragionare sul significato di “autenticità”. A partire dalla messa in discussione degli essenzialismi, la riformulazione del concetto di autenticità come fenomeno dinamico, emergente più che statico (Simonicca, 1998: 47), permette agli antropologi, in particolare agli antropologi del turismo, di fornire alcune spiegazioni rispetto alla globale necessità di immergersi nel passato. Marco Aime ricorda che: «nel dizionario turistico, “autentico” viene spesso accomunato a tradizionale, che a sua volta significa antico o sottintende immutato» e quindi, in un certo senso, migliore (Parbuono, 2017: 101).

Riallacciandosi alla considerazione di Dean MacCannell, l’interesse per l’autenticità sembra essere una risposta alla burocratizzazione e alla mancanza di solidarietà della moralità individuale che renderebbe meccanica, e quindi inautentica, la relazione sociale. Quindi, l’attrazione per l’autenticità nelle esperienze turistiche dipenderebbe dal fatto che: «under modern conditions, the place of the individual in society is preserved, in part, by newly institutionalized concerns for the authenticity of his social experiences» (D. MacCannell, 1973: 590).

Nei contesti locali la risposta alla ricerca di autenticità da parte dei visitatori incontra la necessità dei residenti di sentirsi parte di comunità coese, reali o immaginate che siano, di autointerpretarsi a partire da elementi storici selezionati e ritenuti illustri tanto da rendere illustre il presente e possibilmente il futuro. Come afferma Ignazio E. Buttitta, si tratta della voglia di stringersi intorno a nuovi totem festivi che emergono dal tramonto di vecchi totem:

«Ragione questa che deve sospingerci a guardare con particolare attenzione alla moltiplicazione, accanto e insieme alle feste religiose “tradizionali”, di rievocazioni storiche in costume e di sagre dei prodotti tipici, a rilevare come il totem durkheimiano, spoglio di ogni residua sacralità, non sia più il santo protettore ma il genuino prodotto locale […], i riscoperti antichi mestieri e le tradizionali manifatture […], ovvero la rievocazione in costume di momenti della storia locale» (Buttitta, 2013: 73). 

In generale, il “festivo nel contemporaneo” presenta complessità che vanno osservate tenendo conto di molteplici fattori, soprattutto orientando l’orecchio verso le voci, a volte assordanti, a volte fievolissime, di tutte le soggettività più o meno organizzate che in questa direzione investono tempo, energie, intelligenze, competenze, forza, potere.

Conclusioni

Analizzando l’attuale stato dell’arte della demologia, oltre alle opere maturate nell’ambito accademico, si registra in tutta evidenza uno straripare di produzioni indipendenti appoggiate ad enti o ad editori locali che alimentano una domanda costante di libri sulle tradizioni popolari. Se da un lato questa produzione di forme intellettuali va

Lorve, tipica maschera in legno, del  Carnevale di Sappada (ph. Armano)

verso la divulgazione semplificata, e talvolta verso una vera e propria contraffazione, dall’altro assumono la portata e il valore propri della ricerca territoriale che risponde a bisogni o a strategie di politica culturale localizzata la quale si trova a dover conciliare il rispetto dei canoni disciplinari con il conseguimento delle finalità per le quali nasce (Mugnaini, 2001: 30). A complicare lo stato dei lavori della disciplina c’è tuttavia ben altro. Per un verso il rinnovamento delle materie antropologiche che sembra aver messo in crisi modelli di rappresentazione della società e schemi teorici totalizzanti, avviando una revisione dei confini tra scienza e letteratura a tutto vantaggio di quest’ultima. Per un altro verso, dobbiamo considerare che le trasformazioni sul piano sociale e culturale in atto, come si usa dire su scala planetaria, agiscono anche sulle comunità cui si riferiva solamente lo studioso di folklore. I suoi “soggetti di studio” sembrano perciò farsi meno riconoscibili e magari più vicini a certe nuove categorie merceologiche del mercato culturale.

I ceti considerati portatori di tradizioni si fanno marginali e residuali fino a confondersi con il resto della folla. In questo contesto, afferma quindi Mugnaini, è difficile, se non impossibile, continuare a cercare i soliti oggetti nei soliti luoghi con metodi consueti. Ciò che è avvenuto e che sta tuttora avvenendo è, secondo lo studioso, la sostituzione di una qualunque delle due occorrenze del termine “solito” con “nuovo”: «nuovi oggetti nei soliti luoghi». Di qui la proliferazione di feste medievali nei centri storici riqualificati urbanisticamente, i patrimoni narrativi che circolano nella sociabilità di fabbrica, quel folklore degli ultimi contadini rimasti nelle ultime aree rurali. Tutto ciò fa sì che, quasi paradossalmente, la disciplina folklorica possa vedere enormemente esteso il proprio oggetto. In questo quadro la rotta dell’opera è orientata dall’opportunità di un’evoluzione degli studi demologici nel senso di un maggior impegno, tanto autoriflessivo quanto di ricerca, con i tempi della contemporaneità.

Lo stimolo offerto da Rievocare il passato: memoria culturale e identità territoriali, è quindi fondamentale per chiedersi se, nello stato attuale delle cose, i materiali folklorici sono fenomeni determinanti in relazione alle dinamiche sociali, culturali, economiche e storiche. Se la risposta è sì, rimane da capire come osservare ed analizzare tali performance. Un

Vestizione Rollate, maschera del Carnevale di Sappada (ph. Armano)

suggerimento può essere quello di mantenere il tradizionale oggetto demologico (le forme della cultura popolare), ma con uno slittamento dell’interesse e degli affinamenti epistemologici verso i problemi della sua rappresentazione. Oppure potremmo porci ulteriori obiettivi che tengano presente anche altri aspetti come le componenti sociali, politiche, i rapporti umani tra i soggetti che prendono parte alle attività volontaristiche, il rapporto tra le “associazioni” folkloristiche e il contesto in cui esse si trovano a operare. Potremmo anche osservare il folklorismo alla luce degli studi sul concetto di “capitale sociale”, sul concetto di “rete”, sui social network.

Per conoscere e comprendere, nella loro dinamicità, l’insieme della cultura popolare contemporanea e i suoi singoli generi o prodotti, occorre estendere quindi l’attenzione dai testi, dagli istituti, dagli oggetti, ai processi che li determinano, ai soggetti sociali che ne fanno uso, ai contesti che ne registrano o ne provocano l’insorgenza e l’adozione. Questo taglio deve necessariamente nutrirsi della conoscenza di tipo diacronico (con un rapporto con il passato che non si esaurisca nella meccanica causalità dell’antecedente storico) e di tutte le competenze disciplinari i cui singoli oggetti rinviano. Certamente lo studioso non può dimenticarsi che egli stesso appartiene al medesimo sistema socio culturale, e per estensione anche politico, del suo contesto di studio. Ciò può e deve determinare il cimentarsi con un nuovo impegno nel presente, centrato sui processi di costruzione sociale dei fatti culturali, con la consapevolezza dell’intrinseca politicità del proprio sapere e del proprio ruolo tra le scienze sociali.

Sta di fatto però che se la demologia continua a relazionarsi con fatica ai fenomeni di riproposta della storia, altri settori centrali per le scienze antropologiche rodano strumenti metodologici e teorici nella comprensione dei nuovi modelli di interpretazione dei tratti culturali. Credo che il passo successivo per gli studiosi di folklore stia nel cambiare occhiali interpretativi e collocare le tradizioni popolari nella odierna cultura di massa – la quale non può essere respinta fuori dalla cultura popolare per via della sua origine egemonica – e comprenderne gli effetti nella vita quotidiana. Credo infine che lo studio delle tradizioni popolari necessiti di una nuova teorizzazione di cosa si intenda oggi per “cultura popolare”, la quale deve essere in grado di superare la dialettica gramsciana, ormai obsoleta, tra egemonia e subalternità che, tra l’altro, viene messa costantemente in crisi da nuove forme espressive ibride.

Riferimenti bibliografici 

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Una replica a “Sul patrimonio di conoscenze popolari. Riflessioni epistemologiche (seconda parte)”

  1. Ciao Linda! Come va? Greta bellissima e grande!! Come sempre mi prendo un poco di tempo per leggere con calma (e commentare).

    Sto lavorando intensamente alla progettazione della nuova startup. Andrò in vacanza una diecina di giorni nella seconda metà di agosto (a Roma e Mandela, dalla mia amica Ester Console: quest’anno niente “spese folli”, sono *full monty!*).

    Un bacione e a presto

    Li

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