Mi preme chiarire due concetti fondamentali, utilizzati nell’articolo precedente, che hanno suscitato l’interesse da parte di alcune persone che leggono questo blog e che ritengo essere di estrema importanza. Il primo concetto è “razionalità dominante e manipolatrice”; il secondo è “nuovo etnoumanesimo critico”.
Con “razionalità” intendo una modalità storico-culturale di pensiero e di azione collettiva costituite da un insieme di strategie e di procedure, e non un’attitudine o un comportamento individuali che servono a dare senso al nostro operare nel mondo. La “ragione” a cui mi riferisco è esattamente ciò che Christian Laval e Pierre Dardot (“La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista“) chiamano “razionalità neoliberista”, che costituisce il principio fondante dell’intera società occidentale contemporanea. La nozione “neoliberista” non ha nessun riferimento concettuale con il liberismo classico relativo al lassaiz faire e ai limiti del governo sul sistema di mercato. La “razionalità neoliberista” è una modalità di pensiero che ha conquistato la quasi totalità degli aspetti dell’esistenza individuale e collettiva e che solo superficialmente è di carattere economico. Si tratta dunque di una presa di consapevolezza antropologica sulla mentalità contemporanea di cui è possibile individuare due momenti storici precisi relativi alla sua fondazione: il congresso Walter Lipmann nel 1938, dove viene stabilita l’origine politico-culturale del mercato e la costruzione della Comunità Europea che ha trovato la sua fondazione sui principi della nuova governace che prevede flessibilità dei salari e dei prezzi, riforma del sistema pensionistico, promozione dello spirito d’impresa e la lotta contro dottrine scettiche verso i valori neoliberali.
La produzione della razionalità neoliberista non può non ricadere sulle persone, intromettendo le istanze economiche, burocratiche, le logiche strumentali e d’interesse all’interno degli ambiti della vita. Basta guardare la realtà quotidiana: il “potere” si interessa del dominio sulle persone senza esibizionismi o violenze manifeste, preferendo modalità occulte e implicite facendo sì che il soggetto stesso diventi il produttore e il controllore delle norme di disciplinamento di cui il dominante abbisogna. Si tratta quindi di una vera e propria ideologia che struttura totalmente la soggettività di ognuno.
I concetti chiave di tale razionalità, basati su strategie politiche, sono competitività e adattamento, che portano alla generalizzazione della concorrenza quale norma di comportamento e dell’impresa come modello di soggettivazione. Si tratta di un modo di governo che tenta di plasmare l’individuo trasformandolo da cittadino ad imprenditore di sé stesso.
La presa di consapevolezza antropologica relativa alla realtà contemporanea si basa dunque su alcuni punti fondamentali: 1) il mercato non è un dato naturale ma una realtà costruita che, come tale, richiede l’intervento attivo dello Stato e la realizzazione di un sistema operativo specifico. In particolare in Italia questo aspetto si mescola culturalmente alla nostra tradizione clientelare su cui si fonda la macchina politica e in generale i rapporti pubblici e privati. 2) L’essenza del nuovo ordine di mercato non sta nello scambio ma nella concorrenza, che diventa la nuova norma delle pratiche economiche. 3) Anche lo Stato arriva ad essere sottoposto alla norma della concorrenza considerandosi esso stesso un’impresa sia nel suo funzionamento interno che nelle sue relazioni con gli altri Stati. 4) L’esigenza di universalizzare la norma della concorrenza supera i confini dello Stato e penetra nelle persone, nel loro rapporto con sé stessi e con gli altri nella quotidianità. L’impresa è promossa come modello di soggettivazione, dove siamo tutti imprese da gestire e capitali da sfruttare. La conversione delle menti si ottiene tramite una trasformazione dei comportamenti attraverso tecniche e dispositivi di disciplina sia economici che sociali, con l’obiettivo di portare gli individui a governarsi autonomamente sotto la pressione della competizione e della concorrenza, per cui chi non riesce a tenere il passo e ad essere competitivo viene tagliato fuori facendogli credere che è solo colpa sua.
Si crea così una razionalità capace di imporsi come unico quadro della condotta umana. È per questo motivo che ritengo indispensabile la costruzione di un nuovo etnoumanesimo critico come antidoto al deficit democratico, e in generale antropologico, della contemporaneità.
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